Se l’inferno è la massima espressione della malvagità e della negatività umana, credo di aver trovato finalmente la prova della sua esistenza in terra.
Non è un posto nascosto, anzi è uno dei più frequentati. Basta infatti entrare alle Poste.
Chi l’avrebbe mai detto, l’inferno è a due passi dal mio ufficio ed è una delle sedi delle Poste Italiane, dove periodicamente spendo qualche giornata all’anno e ho modo di assistere alle peggiori scene che l’universo umano possa offrire. Oggi poi, visto che c’è un po’ di gente davanti a me, mi sono messo con tanto di quadernetto a segnarmi gli episodi più riprovevoli e che, per un certo verso, mi hanno inquietato lasciandomi diversi dubbi su chi siamo, da dove veniamo e dove vogliamo andare.
La posta è generalmente frequentata da persone piuttosto anziane ma è vero quello che dice uno scrittore, ovvero che l’anziano diventa la parodia di se stesso. Pertanto quello che ho visto è l’inquietante parodia del genere umano. Andiamo con ordine.
Anzitutto in ogni ufficio delle Poste, già all’ingresso c’è il primo divertentissimo scoglio: la macchinetta che distribuisce i tagliandini con il numero per fare la coda. La macchinetta distribuisce tre tipi di biglietti per tre code diverse: i prodotti postali (pagamento dei bollettini), i prodotti per i correntisti e la corrispondenza (inesitate, spedizione pacchi). Tre tipi, non trecento. Eppure la scena immancabile è il soggetto (non necessariamente anziano) che ritira un bigliettino a caso per poi scoprire, quando è il suo turno, di aver fatto la coda sbagliata. Immaginate solo le scene isteriche che seguono.
Il migliore di tutti è stato un signore anziano che, per spedire una raccomandata, ha preso tutti e tre i biglietti, cominciando a vagare per tutti gli sportelli e piazzandosi dietro alle persone che stavano eseguendo delle operazioni, senza badare alla riservatezza del malcapitato di turno.
Lo stesso soggetto si presenta poi allo sportello giusto, dopo che il suo numero è stato chiamato e superato, con dei fogli in mano per “fare una raccomandata”. E la busta? Quale busta? Perchè, da quando ci vuole una busta per spedire una lettera?
Sempre in tema di biglietti per la fila, ho scoperto l’esistenza di un vero e proprio mercato nero. La gente che si stufa di aspettare, tenta di piazzare il proprio biglietto a persone con numeri più alti, scatenando ovviamente le ire degli altri perchè “sono arrivato prima io”.
La disgrazia è anche quando è il turno di quello che cerca di ritirare una raccomandata di un altro, senza averne diritto. Non ha deleghe, è un miracolo se ha un documento di identità . Comincia a raccontare che “è mia figlia” oppure che “può chiamare per verificare” e altre cose del genere, mentre immancabilmente, dalle retrovie sale l’insofferenza.
Nell’attesa, trovo un posto in una fila di sedie, tra una tipa giovane e anche discretamente gnocca, giusto per rinfrancarmi mentre mi gusto (e prendo appunti) il delirio intorno a me. Al mio fianco c’è un signore che russa, e neanche troppo sommessamente, ma è sveglio. Ovviamente, arrivato il suo turno, scopre di aver fatto la fila sbagliata e ritorna al via, senza le 20€ ma con un biglietto per una fila nuova.
Immancabilmente, se uno sportello vuoto attende più di 5 secondi per passare al numero successivo, partono le prime lamentazioni dalle retrovie .
In posta c’è una stanzetta riservata ai correntisti, o aspiranti tali. Dentro ci sono due persone, uno domanda e l’altra risponde.
Il tipo, non più giovanissimo, ha un blocco degli appunti formato A4. Scrive tutte le risposte, o quantomeno quello che capisce, con una calligrafia enorme. Massimo 4 righe per foglio e non più di 5 parole per riga. Sembra un esercizio delle elementari. Chissà quale prodotto comprerà .
Io ho due sacchetti con dentro 20 buste. Tutte dello stesso peso e tutte indirizzate in Italia. La gente, come mi vede, cerca di vedere il mio bigliettino per capire se sono davanti a loro e, nel caso, ha una reazione mista tra rabbia e sdegno, sentimenti soffocati dal fatto che ho diritto, come per tutti, di essere servito quando sarà il mio turno.
Come ogni anno impiegherò allo sportello meno tempo di quanto, mediamente, impiega una persona a ritirare una raccomandata (basta arrivare organizzati e non raccontare la propria vita quando è il proprio turno), giusto il tempo di un paio di lamentele, sempre dalle retrovie, e avrò finito. Quando uscirò dalla porta tutti mi avranno già dimenticato.
Esco e mi sento come se avessi fatto un giro all’inferno.